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mercoledì 20 ottobre 2010

Io mi chiamo Andrea, ho 55 anni, e sono un pastore sardo

Io mi chiamo Andrea, ho 55 anni e sono un pastore sardo. Allevatore ovi-caprino per l’esattezza. Vivo a Mara con la mia famiglia, una moglie bellissima e tre figli, uno più vivace e disgraziato dell’altro. Ho un gregge di 85 pecore e ogni mattina mi sveglio alle cinque per pascolarle e sistemare l’ovile. La sera rientro tardi, in questo periodo, d’inverno, la luce ci abbandona prima e devo fare tutto di fretta, ma prima delle sette e mezza non metto piede in soggiorno. Il mio lavoro, comunque non mi abbandona mai, che sia domenica o che sia Natale o Capodanno, le bestie devono mangiare. Francamente la cosa non mi dispiace, rispetto i miei animali, mi permettono di sopravvivere e in qualche modo di tirare avanti. Spesso mi porto i miei figli, anche se il lavoro che faccio, a loro, poco interessa. Studiano tutti e il più grande fa medicina veterinaria a Bologna, non lo vedo che saranno passati ormai tre mesi. Il medio è appena ventenne, dice che vuol fare il filosofo, spero si guadagni bene a fare il filosofo, per ora so solo che quando non legge o studia certi manuali, mattoni in carta, lo trovo davanti alla televisione che gioca alla playstation.

Amo la mia famiglia. Li vedo pochissimo, tutti, moglie compresa. Mia moglie mi adora, nonostante tutto. Nonostante a volte io puzzi in maniera insopportabile. Nonostante non ci sia mai, nonostante spesso sia costretto ad alzare la voce perchè non capisco nè lei, nè i miei figli. Nonostante non mi accorga quando si tagli i capelli per apparire più soave di quanto già sia. Nonostante non apprezzi i vestiti che si compri per apparire più elegante di quanto già sia. Ah! Che ne so io di vestiti? di capelli? conosco appena appena la lana che toso alle mie belve.

Amo la mia famiglia e non sopporto l’idea che non possa vivere nella dignità di una famiglia normale. Lavoro dodici ore al giorno, 365 giorni all’anno affinchè mia moglie non debba vergognarsi di uscire di casa perchè non ha un abito che le piace e affinché i miei figli possano studiare e vivere il loro tempo e i loro divertimenti in totale serenità.

Che cosa ho io in meno di un impiegato di banca, di un direttore di banca? Il direttore di banca produce forse latte da bere, formaggio da mangiare? il direttore di banca produce debiti eppure la comunità lo apprezza più di quanto apprezzi me che mi preoccupo di sfamarla.Il mercato del latte è diventato impossibile, 25 anni fa un litro di latte ce lo pagavano 1.320 lire. Oggi ci danno appena 55/60 centesimi, l’equivalente di 1.100 lire. In 25 anni quanto è aumentato il costo della vita? si è almeno triplicato, e il valore che danno al nostro lavoro è diventato un quarto, è qualcosa di raccapricciante. E poi ci chiedono di collaborare, di avere fiducia nel futuro. Ma quale futuro? Quello che non riusciamo a dare neppure a chi abbiamo concepito? Già, perchè se continua così io sarò costretto a far rientrare mio figlio da Bologna, sarò costretto a interrompere i suoi studi.

Lavoro dodici ore al giorno, 365 giorni all’anno e se non accetto quel prezzo imposto dai grandi acquirenti (quelli che poi, magari vanno in Romania a trasformare, a quattro soldi di salari, e ci ricaricano il 500%) e dalla fantasmagorica Unione Europea, posso anche morire di fame. Ma la vita di un uomo si misura in qualcosa di più di un pezzo di pane.

Io mi chiamo Andrea, ho 55 anni, quattro bocche da sfamare, 85 pecore da pascolare, e nonostante tutto mi sono svegliato alle 4 per venire ad un sit in davanti alla Regione Sardegna. Non disprezzo chi mi governa, voglio solo che rispettino la costituzione e i diritti al lavoro e ad una vita dignitosa. Chiedo solo quello e lo faccio pacificamente. A gran voce, ma pacificamente. Ogni tanto sento i miei figli che mi dicono di stare attento. Chiedo a Luca, il più piccolo, com’è andata al liceo. Poi sento Dario, gli dico di guardare le news e di lasciar perdere i videogiochi, ma so che non lo farà. Luigi non lo sento, è in laboratorio tutto il giorno, lo chiamerò stanotte penso. Ma stanotte è già arrivata. Dal lato destro del corteo qualcuno che non conosco, qualcuno che non riconosco, ha lanciato una bottiglia contro una vetrata. Chi è? continuo a chiedermi impaziente, chi è??

Ma non ho il tempo di rispondere. In preda allo stress, al nervoso, alla stanchezza, attaccano anche i miei amici e colleghi. Bottiglie, una, due, tre, finchè non si sentono gli scarponi degli sbirri marciare verso di noi. E poi uno sparo, un altro, sono lacrimogeni. Qualcuno è ad altezza uomo. Mi guardo intorno, guardo chi è con noi per capire come finirà. Nessun politico. Siamo spacciati. Non c’è neppure iRS, o almeno nessuno dei suoi uomini di spicco, qualche sparuta presenza di Sardigna Natzione. La marcia si fa più fitta e i manganelli si alzano.

Io mi chiamo Andrea, ho 55 anni, sono un pastore sardo. Ho una moglie e tre figli da sfamare, 85 pecore da pascolare, lavoro dodici ore al giorno, 365 giorni all’anno e ho un braccio spezzato. Sento le sirene dei carabinieri che hanno arrestato altri 14 padri di famiglia. Sento le sirene dell’ambulanza che mi sta portando via. Mentre mi caricano in lettiga, sento anche un ragazzo in divisa ridere e dire che lui ha colpito dove capitava, che problemi non se n’era posti, che aveva anche calpestato con gusto una donna inciampata mentre scappava.

Lo guardo senza odio. Sorrido pensando che ha l’età di mio figlio, l’età di Dario. Dovresti essere a giocare alla playstation, penso. Ma forse, in fondo, tu credi che sia la stessa cosa.



(ATTENZIONE: questo è un racconto fantastico. Raccoglie le testimonianze di una notte passata a parlare con i pastori del sit in davanti alla Regione Sardegna, in un unico personaggio immaginario. I fatti di cronaca sono veri, il contorno seppur verosimile, è frutto di fantasia)

lunedì 18 ottobre 2010

Io sto con Nichi Vendola, io sto con SEL

Io sono italiano. Questo è un dato di fatto anagrafico a cui non posso per ovvie ragioni rinunciare. A cui forse, non è neppure giusto che rinunci. Il fatto che sia italiano, tuttavia non implica che io non possa riconoscere nella Sardegna una nazione senza stato e che in tal senso possa adoperarmi da italiano, affinchè ogni aspirazione del popolo sardo alla propria autodeterminazione possa essere, nel caso di espressa volontà, soddisfatta. Ma il mio essere italiano non poteva pormi in alcun modo all'interno di un partito indipendentista sardo. Sarebbe stata una contraddizione ontologica, una contraddizione dell'essere che non mi avrebbe permesso di fare del bene alla terra che ormai da 13 anni mi ospita. Da qui la mia decisione di non tesserarmi a iRS e di non proseguire il mio percorso all'interno di movimenti indipendisti o autonomisti sardi.
La mia adesione a Sinistra Ecologia e Libertà e un'adesione che nasce dalla sensazione molto forte che in Italia e nel mondo, oggi, si abbia bisogno di riscoprire un'autenticità di sinistra. Che sia necessaria una sinistra fuori dai cartelli bancari, una sinistra alla Besancenot, per dirla con un paragone europeo. Serve una sinistra che sappia cogliere fino in fondo la nuova definizione di povero, e ne faccia propri gli interessi. Serve una sinistra che sappia vedere il progetto mondiale di unificazione sotto un unico grande giogo post democratico e globalizzante, dei popoli e della loro bieca omologazione sociale e culturale, e che lo sappia contrastare. Serve una sinistra che stia fuori dai salotti dei poteri economici forti, ma che sappia dialogarci al fine di riequilibrarli. Serve una sinistra che sappia valutare le opportunità della green economy, le grandi potenzialità dell'energia verde, che sappia coglierci il futuro e il presente della nuova occupazione. Serve una sinistra che torni a comprendere il significato della parola pace, il significato della parola laicità dello stato, e che non abbia mai crisi d'identità rispetto a tali parole. Serve una sinistra che sappia esprimere un uomo capace di sintetizzarla.
Serve una sinistra che sappia ridare alla libertà la possibilità di esistere per tutti.

Scelgo SEL e i giorni 22-23-24 ottobre sarò a Firenze a rappresentare insieme a Roberto Spanu il Medio Campidano al Congresso Nazionale di Sel.

lunedì 11 ottobre 2010

Con la scusa nel non nazionalismo

Con la scusa del non nazionalismo si possono giustificare tante cose. Nel mio percorso indipendentista sono arrivato alla conclusione che l'unico aspetto fondamentale è quello di avere uno straccio di coerenza. La coerenza non è mai coerenza di persone o di schieramenti, ma coerenza di idee, o meglio di principi di idee. L'idea si può e anzi si deve spesso cambiare, perchè la realtà circostante all'idea, la realtà in cui l'idea si innesta cambia costantemente e l'idea nasce intorno ad un obiettivo e a una volontà di trasformazione della stessa realtà, dunque ne deve seguire il corso. Ma il principio, ovvero l'obiettivo primario, la volontà di mutazione, deve rimanere coerente. Personalmente non posso dirmi che deluso dagli schieramenti indipendentisti o pseudo tali sardi. Politicamente ho abbracciato un movimento italiano, perchè sono italiano e perchè ritengo che l'indipendentismo non sia una moda partitica, ma una verità perseguibile all'interno di qualsiasi gruppo di persone e di idee, appunto. Da italiano ammetto e concepisco una Sardegna indipendente, perchè tale concezione non dipende dall'appartenenza, bensì dall'oggettiva verità storica che la determina.
E intorno a tale verità costruisco la mia coerenza di principio. E oso criticare chi a tale coerenza viene meno. La coerenza non è nazionalista, è solo coerenza. Eppure quando è scomoda è tanto semplice assimilarla al nazionalismo. Peccato che come detto, io sono italiano, e a meno di non avere una improvvisa e masochistica crisi di identità, di quel malanno, ovvero il nazionalismo sardo, io non ne posso soffrire.
Con la scusa del non nazionalismo, quindi, una scrittrice sarda che si dichiara indipendentista sarda, ha ritirato un premio di letteratura italiana, andando ad arricchire i manuali di una nazione da cui dichiara e ha dichiarato totale estraneità. Con la scusa del non nazionalismo, ha dimenticato di dedicare il premio alla propria nazione. Ha dimenticato di dire che lei è sarda e in quanto tale non italiana e dunque non propriamente adatta a quel premio. Con la scusa del non nazionalismo ha dimenticato di chiedere alla propria casa editrice (italiana) di pubblicare una traduzione in sardo del proprio libro. Con la scusa del non nazionalismo continua a pubblicare con la stessa nota casa editrice italiana. Con la scusa del non nazionalismo dice di farlo perchè tale casa editrice le permette di sentirsi libera di scrivere ciò che vuole.


il controllo è un fenomeno che agisce nella sua forma migliore laddove venga percepito come libertà..


ne sono fermamente convinto e in fondo quanto scritto sopra lo dimostra. E forse è preferibile che dimostri questo piuttosto che il fatto che l'indipendentismo di Michela Murgia sia solo una frasetta da sparare a raffica in un convegno, un articolo di giornale, o alla presentazione di un libro, per darsi un tono eccentrico e vendere qualche copia in più.

Sinceramente io a questo non voglio proprio credere. O perlomeno non vorrei esserne costretto.

domenica 10 ottobre 2010

I mastri gassosi e il segreto della Geotermia

Questo è il racconto da cui i bambini delle scuole elementari di Burcei hanno tratto i disegni che hanno vinto una menzione speciale al premio Play Energy, ENEL.

Dedico questo successo alla nazione che mi ospita e che mi ha adottato, la Sardegna.

I MASTRI GASSOSI E IL SEGRETO DELLA GEOTERMIA
C’era una volta la Sardegna. Era un’isola felice, sorella dell’Islanda. La Sardegna era governata da tutte le forze della natura che si riunivano ogni anno per prendere le decisioni più importanti. Programmavano tutti assieme, animali, piante, gas e liquidi, la vita sul loro territorio. Un incarico particolare era assegnato a ciascun elemento. C’era l’Essere Umano, che coordinava tutto, I fiori che si occupavano di fare da vestito all’isola. Gli uccelli che avevano il compito di sorvegliare il territorio dall’alto, i pesci che ripulivano le acque e vegliavano sul sonno dell’isola. E poi c’erano gli altri animali, operosi, che modellavano il territorio e lo rendevano più bello e pulito. Infine c’erano i Mastri Gassosi.

I Mastri Gassosi erano gli antichi custodi dell’energia. Essi erano personaggi misteriosi che vivevano nelle profondità più remote della terra e si tramandavano il Segreto di generazione in generazione. Si trattava dell’antico Segreto dello Spirito della terra, che permetteva a tutti gli altri esseri viventi e a tutti gli elementi di avere la giusta energia per illuminare la Terra al buio e per muovere le macchine necessarie alla sopravvivenza.

I Mastri Gassosi erano stati educati dai fratelli Geyser, che vivevano nella terra gemella Islanda. C’era un profondo affetto fra le due terre, legate da numerosi aspetti. Erano entrambe isole, entrambe piccole, entrambe poco popolose. Ed entrambe custodivano il Segreto.

Tutto funzionava perfettamente, grazie al Segreto. La Sardegna produceva e si arricchiva e la natura restava in equilibrio. Non esisteva inquinamento grazie al Segreto. Non c’erano malattie, non c’erano fumi neri in cielo, non c’erano grossi rifiuti tossici grazie al Segreto.

Finquando un giorno lo stato maggiore sardo fu avvisato di una visita importante. Sarebbe arrivata una delegazione internazionale, francesi, russi e italiani, venne annunciato al grosso megafono che ululava dal Monte Gennargentu.

Si imbastirono i migliori banchetti. La Sardegna era da sempre ospitale. La delegazione era composta dal francese Nucleor, dal Russo Carbonic e dall’italico Petrolum. Erano in visita di cortesia, dissero i notabili signori.

Da subito apparvero molto simpatici e divertenti. Con il loro umorismo conquistarono subito le grazie di tutti gli elementi, esclusi i Mastri Gassosi, che intuirono da subito qualcosa di pericoloso.

Solo uno, il più giovane e inesperto, si fece catturare dalle battute degli ospiti, in particolare da Nucleor, che aveva un fascino particolare, bassino e pelato, con un’accento mezzo francese e mezzo milanese, raccontava barzallette, in gioventù era stato un cabarettista.

E così, convinto a farsi offrire da bere, il piccolo apprendista Mastro Gassoso, il cui nome era Cappelar, ingurgitò tanto di quel pastisse (un liquore francese molto dolce) da ubriacarsi.

Fu allora che Nucleor, furbo e malizioso, gli chiese di confessargli il Segreto.

Non posso.

Disse Cappellar.

Dai per un altro goccetto...
Ma voi perchè lo volete sapere?
Solo curiosità... che male può fare... domani ripartiremo
Ah curiosità.. e allora... beh dovete sapere che sotto la Sardegna, come in Islanda, c’è molto calore, c’è un fuoco costante che gli umani chiamano “magma”. Quando durante l’anno piove molto, tutte le acqua finiscono sotto terra. Lì entrano a contatto con questo calore, si scaldano, bollono come acqua in una pentola e creano vapore. A quel punto noi Mastri Gassosi prendiamo quel vapore e lo portiamo su una ruota, che girando grazie alla sua forza muove tutto il resto: Illumina le case, aziona le macchine nelle industrie, fa andare i comput...

Non ebbe il tempo di finire la parola computer che un grosso bastone lo colpì alle spalle. Carbonic con le sue braccia robuste lo aveva tramortito. Quello che volevano sapere... il Segreto, era nelle loro mani... inutile continuare a fare finta, era ora di compiere il loro attentato. Approfittando del sonno generale, indotto dalla serata di bagordi, i tre imbroglioni catturarono velocemente tutti i Mastri gassosi, imprigionandoli in grotte labirinto senza via di uscita.

Inoltre Petrolum, con la sua abilità di scrittore, preparò un finto biglietto in cui a nome dei Mastri Gassossi annunciava la loro decisione di andare in pensione.

Il giorno dopo al risveglio, tutto il popolo rimase sbigottito e confuso. Tutti erano disperati. Le macchine si fermarono, la luce sparì. Nessuno sapeva come fare.

Allora i tre ospiti imbroglioni proposero la loro soluzione agli umani. Carbonic avrebbe bruciato carbone e scelse come casa Portovesme. Petrolum avrebbe bruciato la pece e scelse come casa Sarroch. Nuclear fu invece più subdolo e propose qualcosa di straordinariamente potente e a suo dire “miracoloso”. Avrebbe spaccato in minuscole parti un metallo, l’uranio, a una velocità tale da produrre un miliardo di energia.

Gli umani accettarono senza farsi troppe domande. Le macchine e la luce si riavviarono subito e tutti tirarono un sospiro di sollievo. Ma ben presto ci si accorse delle conseguenze. I cieli si fecero neri. I mari furono inquinati. Nuclear emetteva dei rifiuti che fecero ammalare le persone. L’aria divenne irrespirabile. Ben presto molti elementi si estinsero, la natura non era più in equilibrio e gli umani non sapevano come fare.

Provarono ad affidarsi a Eolo e ad Apollo, gli dei del vento e del sole, per produrre energia e ridurre l’inquinamento, ma l’energia del vento e del sole non era continua, perchè non sempre c’è vento e perchè la notte non c’è il sole.

Ah quanto ci mancano i Mastri Gassosi... disse il sovrano Sardo Bastianu.
Chi sono i Mastri Gassosi?chiese il piccolo figlio Mariano.
I Mastri Gassosi erano coloro che detenevano il Segreto del’energia pulita.
E dove sono finiti, padre?
Hanno deciso di andare in pensione...
E dove sono ora, padre?
Nessuno lo sa, Mariano...
E non li conosce nessuno, non hanno amici?
Fu allora che il sovrano Sardo si ricordò dei fratelli Geyser. Immediatamente mandò a chiamare Iliott il Geyser ambasciatore in Sardegna.

Iliott amico mio!
Sovrano Bastianu...
Ti ho convocato perchè abbiamo un problema. Da quando i Mastri Gassosi sono andati in pensione...
Pensione mio signore?
Pensione! Non ne sapevi nulla?
No Mio signore...! I Mastri Gassosi non vanno in pensione!
Come legga qui il messaggio di Nur!
Signore che mi venga un colpo se questa è la scrittura di Nur!

Bastianu comprese subito che si trattava di un grande imbroglio. Convocò subito i tre impostori, i quali ammisero di aver rapito i Mastri Gassosi, ma fecero capire al sovrano che ormai, senza la loro energia, tutto si sarebbe fermato.

Il sovrano non si dette per vinto e iniziò immediatamente la ricerca. Mandò i suoi uomini migliori in esplorazione, ma nulla. Passarono i giorni, ma dei Mastri Gassosi nessuna novità. L’aria intanto si faceva sempre più irrespirabile.

Il Sovrano raccolse a sè i propri consiglieri e Illiot. La situazione era drammatica.

Sicuramente - disse Illiot - sono nascosti nelle grotte labirinto.
Perbacco Illiot, andiamoci subito. Ribattè il Sovrano.
Mio Signore non è possibile, le grotte sono accessibili attraverso una porta nascosta che soltanto gli stessi mastri gassosi conoscono.
Accidenti...
A meno che...
Cosa Illiot???
Ci sarebbe l’ingresso dall’Islanda, le due terre sono collegate da cunicoli segreti
Ottimo!
Ma...
Ma cosa?
Nessun adulto ci può passare... solo un nano o un bambino...
Mannaggia!

Fu allora che si avvicinò al tavolo il piccolo Mariano, il quale prese la mano di Illiot. Tutti compreserò quel gesto. Sarebbe andato Mariano là sotto. Il Sovrano baciò sulla fronte il suo ragazzo, pieno di lacrime di orgoglio.

Mariano si introdusse nel cunicolo, portò con sè la mappa delle grotte labirinto.

Presto raggiunse i Mastri Gassosi che lo accolsero con entusiasmo, insieme raggiunsero l’uscita delle grotte labirinto e tornarono al loro lavoro.

Intanto Carbonic, Nucleor e Petrolum furono catturati ed esiliati dalla Sardegna.

Era primavera e quel giorno venne per sempre ricordato come il giorno della vita e del futuro sardo.

La Favola di Hume

Il silenzio dei nostri sorrisi
il violino del tempo che stride
le sue corde tese e stonate
eppure è musica nell’istante

perchè tu ci sei e io sono con te
perchè la causa non è l’effetto
perchè la palla da biliardo rossa
non si è spostata all’urto del destino

si cerca di lasciare che tutto esca
che il piacere non stagni sul fondo
di un cuore di vetro o di rovere
la paura di una crosta di vino
che si chiama ricordo

Ma ciò che sortisce da me è fumo
mentre brucio l’erba sacra di te
che mi inebria di oriente, di sardegna
e dell’odore di umanità e di miseria
che esala lento da questo nostro paese...

Senza alcun sonno

Mentre la luce oltrepassa la finestra sporca
la polvere danza come in una discoteca
festa e folklore al tramonto dell’infelicità
cinque passi veloci e un gioco sinuoso...

L’orecchio al vetro origlia la natura del vento
mentre il pensiero non si spinge che a te
la notte si avvicina e sorride gioiosa
al mio volto che scompare dentro il tuo buio

La luna è piena e nasconde i miei vuoti
il cerchio si chiude come fosse il disegno
di un tecnico con in mano un goniometro
e nell’altra un boccale del peggior rum

Come se fosse l’ultima giorno di crisalide
come se fosse il giorno prima di una laurea
il pianto prima del parto o della morte
senza alcun sonno, aspetto il mio sogno...

Quella notte...

Quella notte non c’erano più stelle

le nubi basse quasi fumi di ciminiere

ormai spente come il sogno che fu:

non esistono uguaglianze cosmiche...

Quella notte non c’erano più stelle

il tuo corpo sinuoso fra le braccia

di un viottolo bizzarro, verde erba

in un parco che se torni non c’è più

Quella notte non c’erano più stelle

tu ti aprivi in abbraccio al mio volto

e le labbra ti cercavano impaziente

come fossero cornici su un Monet...

Questa notte ho rivisto una stella

chiara come un destino di dolore

passeggiava verso il suo tramonto

era l’alba solitaria della tua felicità

I Giardini del Sonno

Mentre una nube scura collide

con la luna piena e la sua luce

emerge come un volto nascosto

dietro una rete alta e spessa

dietro le sbarre fitte di una galera

invisibili e sovrani di te ascolto

i gemiti dell’anima e continuo io

fuori tema e infantile, a rigurgitare

pensieri scontati, vestiti di nuovo.

Godi maledetta principessa del male,

comunichi e doni come un’artista

di strada o di affollatissima autostrada

i tuoi paradisi di piacere nella forma

di un bicchiere rovesciato e distratto

di sangue denso, dannato e infernale.

Il parco diviene universo e i giardini

hanno alberi infuriati dal vento tremante

che sospira dall’infinito circostante

come se tutto divenisse troppo minuto

per sopportare la portata della nostra

incomprensibile, innovativa, creativa,

impazzita e inaccessibile banalità...

L'amore ad Arbus

In questi giorni osservo fenomeni strani aleggiare per internet e in particolare su facebook. Sono fenomeni sociali che registro e analizzo da un punto di vista assolutamente ermeneutico e dunque di per sè arbitrario. Forse non è del tutto inutile ricordare che sentenziare su parametri oggettivi nella società postmoderna è sostanzialmente impossibile. Di per sè l'oggettivo, messo già in crisi dagli studi di Pierce e di Heidegger (in quanto esclude il soggetto e dunque pecca paradossalmente di non oggettività), diviene pressochè nullo in una società che non si basa su un sistema lineare e univoco ma su multivelli e commistioni di tendenze.

Premesso questo voglio parlarvi di Amore, e voglio parlarvene in un microcosmo, quello arburese, che ha una sua peculiarità precisa e sufficientemente identificabile.

Io sono abituato a pensare, educato a pensare e fondamentalmente a sentire, l'amore come un fenomeno sociale di tipo individuale bidirezionale. Esisto io, esiste lei, esiste un sentimento fra me e lei che fondamentalmente non viaggia nell'etere, ma è un viaggio tutto interiore e personale che trova nella corrispondenza, un punto di contatto magico che apre porte meravigliose. Nello scambio e nell'effusione si manifesta una parte di questa corrispondenza, che pure è incompleta e rimane incompleta, deve rimanere incompleta, poichè quanto più ci rimane, tanto più si è dentro la fase di innamoramento, ossia della ricerca della corrispondenza.

Ad Arbus invece noto qualcosa di completamente differente e lo noto in modo diffuso. L'amore ad Arbus è un fenomeno sociale di tipo collettivo multidirezionale. Ossia esisto io, esiste lei, esistono gli altri. Si tratta di un complicato sistema di indirizzo e controllo che interferisce nelle fasi di innamoramento, ovvero di ricerca della corrispondenza, e di espressione interiore, fino a giungere al nocciolo stesso del proprio desiderio di amore e contaminandolo quasi quale fosse un cancro.

Ad Arbus dunque amare o essere innamorati sono processi incompiuti laddove la parte terza, gli altri, la comunità di controllo, non sappia e non approvi.

Altrimenti si parla di altro e se ne parla sempre in termini di correlazione a tale comunità.

Ad Arbus l'amore, essere innamorati, amare, nel modo più naturale e diretto possibile, è riconosciuto esclusivamente sotto il termine fidanzamento, di per sè molto impegnativo e ricco di implicazioni appunto di tipo sociale collettivo. Essere fidanzati significa avere ufficialità del rapporto, ossia comunicare e attendere anche solo tacita approvazione, alla e da parte della comunità di controllo.

Tutto ciò che fuoriesce da questa definizione viene vissuto come una deviazione, come "non amore", sia da chi lo vive e che da chi lo osserva e si pone come comunità di controllo.

Da chi lo vive assume una forma di ribellione che non può quasi mai essere compatibile con una vero e proprio innamoramento, ma che si trasforma come in una trasgressione costante, trasgressione di tutto ciò che corre e scorre dentro e fuori. La ribellione sposta il campo fondamentale sull'io e tralascia la corrispondenza. Ovvero chi vive la passione non ricerca bidirezionalità ma solo uno strumento umano (il compagno) per esaltarla ed eternarla quanto più possibile.

Spesso si cade nell'erronea definizione di storia leggera, che di per sé è invece appesantita notevolmente da una forma di rifiuto e filtro anteriore a ciò che in verità la natura del rapporto offre.

Attraverso una masturbazione dello spirito, con la ribellione, ci si chiude in un nuovo schema, anch'esso imposto dalla comunità controllante, per negazione, che prevede l'autodefinirsi "single" con una serie di regole da seguire, per evitare che subentri, che si insinui la corrispondenza (la quale porterebbe immediatamente nello status di fidanzamento, secondo lo schema precedentemente descritto).

Da parte della comunità invece, abbiamo un atteggiamento di velata espulsione, o comunque di ammonizione; ci sono certamente livelli di classificazione diversa in base al riconoscimento di "gravità della deviazione".

E così abbiamo un atteggiamento di tolleranza neppure troppo convinta per chi è separato.

Abbiamo definizioni del tipo "Bagassa", "Mignotta", "Bagasseri", "Mignottaro", "Scostumato" etc etc per tutti coloro che invece vivono i loro rapporti di amore al di fuori degli schemi predisposti, dei moduli pre compilati dalla comunità di controllo.

Per evitare che la comunità di controllo attacchi determinate definizioni, chi è in fase di ribellione tenua, ovvero di primo livello, diciamo di tipo pacifico e per certi versi vile, usa la formula della clandestinità.

Quindi una storia leggera deve essere clandestina. Qualsiasi buco a questa formula viene immediatamente registrato con un allarme rosso che provoca forme di auto protezione attraverso l'uso di reti sociali amiche. Inoltre spesso determina la fine stessa della "storia leggera", in quanto l'assenza di corrispondenza pone nella facile condizione di chiusura unilaterale una delle due parti. Fine che come intuibile, ha quasi sempre un sapore liquido, ovvero avviene per comunicazione semplice, sms, mail, telefonata nel migliore dei casi, o, al massimo piccolo litigio.

La ribellione e il modo di vivere l'amore al di fuori degli schemi convenzionali, pur sempre nell'ottica di relazione collettiva, diviene quindi una ideologia.

E questo determina lo schieramento e la coalizione. Abbiamo dunque il club delle separate, il club delle single etc etc. Siamo dunque fuori dalla dimensione reale di un rapporto umano di tipo amoroso/passionale, entriamo in un gioco di potere e in un clima di auto accettazione comunitario che si realizza soltanto con la creazione di una comunità di controllo alternativa, ossia il "club", che pur avendo la stessa struttura (pericolosa come l'originale" ha regole diverse.

Chi invece pone la propria esistenza amorosa come processo originario, ossia individuale bidirezionale, viene considerato reietto e subisce la tratta di una vita di scarto.

Mi riferisco a chi ama liberamente e alla luce del sole, a chi ha scelto di lasciare la moglie o anche di tradirla, a chi vuole innamorarsi senza dover essere fidanzato e cercare, come dovrebbe, ogni giorno nell'altro una fonte di conquista, di sfida, alla ricerca della corrispondenza e del suo interiore mai compiuto.

Credo ad Arbus, credo nella sua possibilità di cambiare, di evolversi. Credo negli arburesi e nella loro capacità di comprendere che la rivoluzione non la si fa armandosi, la si fa comportandosi nel modo in cui vorremmo che fosse la realtà.