Cridar uscì sbattendo la porta. L’ufficio del direttore era separato dall’ampio open space solo attraverso un sottile cartongesso e per un attimo i pochi colleghi presenti ebbero la sensazione che potesse crollare. Non era insolita a gesti di stizza, ma forse questa volta aveva davvero esagerato. E tutto per uno stupido lavoro. A Cridar non andava giù, proprio non riusciva a capire. Perchè mandare lei a Sassari? Era l’una di notte, un omicidio, prostituta sgozzata, a fare foto con il flash probabilmente, e a non dormirci la notte. Un lavoro privo di aspirazione artistica, solo documentare, cronaca, mai sopportata!
Cridar che andava a teatro alla prima del lirico. Cridar che seguiva le mostre e faceva ritratti agli attori. Cridar che si lanciava nei concerti come se fosse una reporter di guerra.
Il rombo della sua moto fu aggressivo come mai. Ducati rossa fiammante appena lavata, il colore opaco brillava nella luce gettata da un lampione malandato della città algherese.
La Carlo Felice non fu molto clemente. Buche, così tante che le venne in mente il suo ultimo servizio fotografico: l’inaugurazione di un campo da golf nei pressi di Pula.
- Mi vogliono buttare fuori
Pensò. Era chiaro. Una lenta scalata verso il basso, una discesa rapida e controllata dall’alto. Stava precipitando e non sentiva neppure l’ebbrezza di una vertigine a cui appendersi. Ci doveva essere qualcosa di sballante ad essere declassata. Ragionò sui possibili scenari che le si aprivano. Lavorare meno, occuparsi meno della luce, della qualità della posa e della post produzione. Ma nulla di tutto questo la eccitava. Nulla di ciò che non fosse fare le cose che aveva sempre fatto, le dava un briciolo di adrenalina.
Quando arrivò sul posto, il primo suggerimento tecnico che le diede la scena fu quello di vomitare. Avrebbe voluto rilasciare accanto ai cassonetti della pattumiera, non troppo distanti, in quel vicolo buio e dagli odori di plastica muffita, che si sommavano insolenti al puzzo di cadavere, tutto il kebab che aveva mangiato la sera precedente.
Peccato lo avesse ampiamente digerito.
Si avvicinò al corpo senza vita sospirando.
- Se vogliono che mi licenzi, così hanno trovato il modo giusto
Davanti a lei una decina di altri reporter, ben piazzati, a spintonarsi per avere la posizione migliore, quella più vicina, chi cercava di mettere ben a fuoco lo schizzo di sangue sotto la gola, chi invece si concentrava sull’occhio vitreo.
Cridar capì solo allora che cosa significasse, banalmente parlando, essere un fotografo. Il suo mondo immaginario, fatto di luoghi virtuali pieni di gente col berretto che sfidava le ombre per uno scatto perfetto, si estinse come si può estinguere una stella che ha esaurito il proprio corso, e lasciò un buco nero nello stomaco e nel cervello della giovane, che neppure un Montenegro con ghiaccio sarebbe riuscito a colmare.
Si allontanò una decina di metri e cambiò obiettivo. Mise uno zoom abbastanza potente, un 200 di profondità massima e da lontano puntò il corpo esangue. C’era luce sufficiente. i fari delle volanti della polizia, i flash abusati di quegli zombie e beceri esecutori. Si poteva fare. E lo fece, trattenendo il respiro, una quarantina di pose, un sospiro, un sorso di acqua e fu di nuovo in sella.
- Domani do’ le dimissioni e parto... vado via.. vado a Berlino!
Urlò, con la voce coperta a mala pena dal fragore del motore acceso. Voleva sbrigare quel lavoro in fretta. A casa aprì la porta che albeggiava. Dalla finestra della camera da letto una lama di luce rossa penetrava come fosse il segno ineluttabile di un’iniziazione.
Scaricò le foto sul suo mac bianco. Le aprì ad una ad una, un leggero ritocco e invio alla chiavetta usb. Una, due, tre, quattro, cinque, sei... i minuti passavano... sette, otto, nove, dieci, undici, dodici, tredici, quattordici... le ore passavano.... quindici, sedici, diciasette, diciotto... diciotto... diciotto... il tempo si fermò.
Cridar sentì i battiti del cuore aumentare di ritmo, come fosse iniziata una samba brasiliana in sottofondo.
Le era apparso qualcosa, fu un particolare. Un particolare che le cambiò la vita.
Gaetano Luca Filice nasce a Monza il 12 maggio 1979. Dal 2006 vive stabilmente in Sardegna. E' laureato in Letteratura Musica e Spettacolo alla Sapienza di Roma. Scrittore e Giornalista, fra i suoi libri ricordiamo Webbe Grillo, Cicche BeH e 40 notti e la ballata del giorno nuovo. Nel 2010 ha partecipato alla campagna elettorale per le elezioni comunali, esperienza molto intensa da cui ha tratto ispirazione per scrivere il suo primo romanzo "Qui non si può fare".
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